TRA SCUOLA E OCCUPAZIONE

SARDEGNA: TURISMO

La stagione estiva è ormai prossima e, come accade già da qualche tempo, anche quest’anno si ripresenta lo spettro della carenza di personale. Non solo quello qualificato, diventato ormai merce rara, ma neppure quello d’occasione. Intanto, il turismo continua ad incidere sul PIL regionale per l’8,5 %, garantendo occupazione stagionale a tanti nostri giovani.

“Se avrai cura del tuo personale, non potrai che averne dei benefici”. Recita così un vecchio detto che suggerisce ad ogni imprenditore prima di fidelizzare i suoi clienti, di fidelizzare il proprio personale. Una regola che ha accompagnato nel tempo quegli più avveduti che hanno reso grandi le loro imprese. Nonostante ciò, i professionisti sono spariti. Quei pochi che ancora esercitano la professione al top sono ben saldi nelle loro posizioni all’interno dei propri alberghi dove sono stati spesso rivalutati e fortemente incentivati a restare. Fra questi si distinguono alcune strutture della Costa Smeralda che, finalmente tornate nelle mani di conoscitori del settore del lusso, hanno ricominciato a dare il debito valore alle risorse umane. Si dice che, addirittura, abbiano richiamato tra le maestranze, del vecchio personale che, dopo una lunga permanenza nella struttura, non era più tornato perché non in linea con le allora direttive di gestione. Iniziative lodevoli alle quali speriamo, sia dato seguito, così da recuperare quelle professionalità migrate prematuramente ma sempre desiderose di riabbracciare un clima di lavoro più sereno e sostenibile. Nel frattempo, gli altri imprenditori sono disperati, tanto che alcuni sono costretti a tenersi ben stretti quei pochi fidatissimi che gli son rimasti, purtroppo, non sufficienti a far fronte alle stime di un incoming destinato a fare faville. Malgrado ciò, le difficoltà insistono ma il mondo dell’impresa tiene duro e non molla, convinto del fatto che nessuno abbia più voglia di lavorare, che i giovani non conoscano il sacrificio e che la scuola non prepari ormai più nessuno al lavoro. Vero o falso che sia, di fatto nessuno, pare, voglia affrontare il problema vero: salario adeguato, orario normale e condizioni di vita umane. Tutti sono allergici a mettere mano nelle proprie tasche, convinti come sono che gli stipendi siano pari a ciò che si riceve in cambio: scarsa professionalità e personale mal formato. Nessuno fa più formazione, aspettano che a farlo sia qualcun altro: la scuola alberghiera. Istituzione che oggi vive in condizioni difficili, dove gli insegnanti di settore scarseggiano, tanto da lasciare spazio a docenti neo diplomati, privi di alcuna esperienza nel settore tecnico pratico di rifermento. Di contro, la scuola ribatte di non avere risorse sufficienti per il potenziamento dell’insegnamento pratico e dei laboratori linguistici in compresenza con le stesse discipline, tanto che, con tanta nonchalance, ha scaricato questo processo formativo nel contenitore del PCTO, (la vecchia Alternanza Scuola-Lavoro). In questo contesto, a fungere da laboratorio pratico sono spesso strutture senza scrupoli dove gli studenti fanno di tutto, men che ciò che dovrebbero. Nessun tutor, poche garanzie e poco tempo dedicato alla formazione. Eppure, parliamo di ben 400 ore suddivise in due anni, con almeno 5 settimane ognuno, durante il quale i ragazzi vedono, praticano e conoscono. Fra l’altro, “Conditio sine qua non” per poter accedere agli esami di maturità e concludere il ciclo di studi che li porterà, poi, al lavoro. Ciò nonostante, il corpo decente d’indirizzo non ci sta e si lamenta della mancanza di ore messe a loro disposizione per insegnare una sufficiente conoscenza della materia professionale. Condivisibile o meno la scarsa preparazione degli studenti resta un fatto evidente.

Ecco perché intervenire è fondamentale. Perché così facendo sarebbe utilissimo ai ragazzi ma anche a quegli imprenditori, oggi in seria difficoltà nel reperire personale motivato e capace da inserire nei ranghi delle loro strutture. D’altronde, come non intervenire in sostegno di risorse come alberghi e ristoranti creati nel tempo da operatori sardi e da altri venuti d’oltremare che ci hanno visto lungo, capendo in anticipo che alla Sardegna occorreva un’alternativa economica all’industria chimica, tessile e mineraria, miseramente fallite nel tempo. A sopravvivere erano rimaste solo l’allevamento, la pastorizia e poca agricoltura che, trasformatisi negli anni anche in prospettiva turistica, sono riuscite a ritagliarsi egregiamente il loro spazio. Ma, di quel turismo, scoperto intorno agli anni 60’ ed estesosi lungo le coste, noi sardi non abbiamo mai capito tanto. Lo abbiamo semplicemente subito, tanto che in diverse zone dell’Isola, la popolazione residente ha fatto ben altro che impiegarsi nel settore. È stata distante, quasi che non le appartenesse, lasciando spazio alle maestranze che venivano da ogni altra parte della Sardegna, spesso zone depresse e senza un futuro plausibile. Ed è grazie a loro, alla loro fame di conoscere e di crescere che si sono create quelle splendide professionalità capaci di far conoscere la Sardegna in tutto il mondo, esportando un modello d’accoglienza ancora in uso. Ma è nel trend del lusso che la presenza di questi professionisti si è maggiormente distinta, elevandone la qualità del servizio e unendo alla storia e alla cultura del luogo, i sapori e i prodotti enogastronomici locali. Un modello vincente per la ristorazione e l’accoglienza che hanno saputo rispondere egregiamente ad ogni nuova esigenza di mercato indirizzate a forme di turismo innovative come quelle “esperienziali e “emozionali”. Un nuovo modo di accogliere che i professionisti del settore hanno saputo combinare in un mix di sapori e profumi dei nostri luoghi con l’autenticità che i figli di questa terra, sentono sacra. Un modello vincente che ha reso il turismo sardo apprezzato in tutto il mondo, ma che tanti sardi stentano ancora a fare proprio. Forse perché ancorati allo stereotipo del cameriere quale unica figura rappresentativa del settore, tanto che sebbene oggi le cose siano diverse anche grazie il clamore dei media, resta un settore lontano dalle aspettative di tanti giovani. Quelli che continuano ad andar altrove in cerca di fortuna, ma che solo in pochi, ritornano per trovarla nella loro terra. Ad impedirlo è sempre la stagionalità. Quel limite invalicabile nel quale carenza di trasporti, siti d’interesse e strutture ricettive chiuse, impediscono la presenza di flussi turistici alternativi che grazie a quel modello d’eccellenza, potrebbero essere una straordinaria risorsa economica per la sua gente.

Un tempo a venire in aiuto alle scuole erano gli esperti di settore, messi alla porta da riforme scolastiche e da chi non gradiva questa presenza imbarazzante. Di fatto, da quella che era stata fino ad allora una valida opportunità didattica si è passati al nulla. Un vuoto spaventoso che oggi le associazioni di categoria, sensibili a quest’esigenza, si sono proposte di colmare frapponendosi fra domanda e offerta. Lo hanno fatto accreditandosi al Ministero dell’Istruzione, con idee e progetti di formazione alternativi in grado di sostenere studenti e docenti nel raggiungimento degli obiettivi programmatici d’indirizzo. In questo contesto emerge l’attività pratica di laboratorio, notevolmente ridotta con la riforma Gelmini, ma oggi quella con maggiori carenze. Dopotutto, gli Istituti Alberghieri sono di fatto, le “scuole del fare” e senza l’attività di laboratorio non c’è alcuna ragione che esistano. A tutt’oggi, la poca attività in essere pare non sia rivolta a tutti in egual misura tanto che, se da un lato gli studenti di Cucina, Sala e Bar mettono, in qualche maniera, “le mani in pasta”, non altrettanto avviene per i ragazzi d’Accoglienza, costretti alla sola pratica di laboratorio d’informatica. Capite bene che senza il contatto col pubblico non potranno mai esercitarsi ed imparare discipline come “assumere la giusta postura, conoscere il galateo, la classe, l’eleganza, il linguaggio e imparare a comunicare efficacemente”. Discipline indispensabili per entrare nel mondo del lavoro ma anche per mettersi al passo con i loro compagni che frequentano altri indirizzi. Al momento sono in pochi ad averlo fatto, tanto che la differenza emersa durante il periodo di stage dei ragazzi nelle aziende, è evidente rispetto a chi, invece, ancora non ha cominciato. Ma lo stage è solo una breve anteprima di ciò che aspetterà questi ragazzi a conclusione del loro percorso scolastico. La dura realtà è lì che aspetta, impietosa e pronta ad evidenziare lacune e manchevolezze di un percorso scolastico durato cinque anni. Poca pratica, scarsa conoscenza delle lingue straniere sono le prime difficoltà che evidenziano questa condizione, tanto che questi studenti sono costretti spesso, a dover ricominciare daccapo. Dovranno necessariamente andare all’estero per imparare le lingue straniere, iscrivendosi a scuole private nel tentativo di colmare questo gap. Non dimentichiamo che per raggiungere un buon livello di conoscenza parlata e scritta di una lingua straniera ci vogliono non meno di 2000 ore che andranno tutte, a fare la differenza con le 624 studiate a scuola in cinque anni!!

Federico Barbarossa

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