VITTORIO

(A)NORMALITA’

ACCOGLIENZA TURISTICA: VITA DA CONCIERGE

 

Nelle giornate del festival del cinema qui a Venezia fare il portiere in alberghi di questo livello è un’esaltazione del multitasking perché è come essere al pronto soccorso: arrivano “pazienti” bisognosi di ogni genere di intervento e con un diverso codice di priorità, e tutti devono essere curati. È un paragone che mi piace perché, probabilmente, io non sarei mai stato un bravo medico o un bravo chirurgo, ma in qualche maniera mi trovo spesso in situazioni di emergenza, a volte “disperate”. Nulla deve essere lasciato al caso. Bisogna curare i dettagli perché, al di là del lusso, la clientela da noi cerca la confidenza e la consuetudine. A differenza di altre piazze e di altri hotel, abbiamo molti clienti che ritornano: alcuni li ho visti la prima volta nel 1979, quando sono entrato, e vengono ancora. Magari hanno avuto figli, nipoti. Sono la coda del bel mondo, e non per un fatto economico ma dal punto di vista della persona, per la classe, la nobiltà, le maniere che li contraddistinguono. Quando ti vedono, allargano le braccia: è un piacere reciproco. Per loro è come ritrovarsi nella casa delle vacanze circondati da persone di cui si fidano. E la prima domanda che ti fanno è: “Che novità ci sono? C’è qualche ristorante nuovo?”, si aspettano qualcosa in più e Venezia, che è una città ferma, non è Londra né Parigi. Con chi arriva per la prima volta e deve ancora scoprirla è più facile. Con alcuni ci diamo persino del tu (l’input è sempre loro) ma io preferisco comunque mantenere una minima distanza dal momento che sono qui per servirli.  Venezia non è neppure Roma o Milano. Persino negli anni Sessante e Settanta, che di sicuro offrivano maggiori spunti, c’era una clientela più “tranquilla”. Eppure mi sono reso conto che, in qualunque posto tu lavori, essere concierge ti arricchisce moltissimo dal punto di vista emotivo e sentimentale, perché stai a contatto con persone che vengono da tutte le parti del mondo, ognuno con la propria cultura e il proprio stato d’animo. Questo scambio dà una sensazione molto bella. Magari parli con un europeo che interagisce con te in un modo, e due secondi dopo con un indiano che interagisce in un modo del tutto diverso: mille domande per poi capire che, in fondo, gli serve una sola cosa e devi avere la pazienza di rispondere e di seguirlo. Quello che mi esalta è il fatto di dover cambiare pelle ogni volta. E lo fai talmente tanto e con così tanta naturalezza che, sembra strano anche a me, non c’è più niente di così straordinario o eclatante che ti colpisca in maniera particolare. Finisce che trovi “normale” tutto, dalla richiesta di un pacchetto di fiammiferi al noleggio di un aereo privato…

Vittorio Talvacchia

(Tratto da “Grand Hotel Italia” di Nicolò de Rienzo)

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