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IL MONDO IN UN PAESE

IL RACCONTO DI UN CONCIERGE
Ho lavorato quasi tutta la vita ad Abano Terme. Ho iniziato il 1^ settembre 1968 quando l’Italia era ancora florida e ho smesso il 15 luglio 2009. Qui c’è una clientela diversa dai grandi hotel di Roma o Milano perché non è un luogo di passaggio. Nelle grandi città c’è una varietà di ospiti inimmaginabile. Abano, in fondo, è un paese, ma ha avuto molta importanza negli anni. Ho conosciuto clienti che arrivavano con il jet privato a Venezia e volevano il taxi in aeroporto, ai piedi della scaletta, e che non sembrasse un taxi! Da noi venivano gli stessi clienti del Grand Hotel et de Milan o del Four Seasons.
Qui si viene per le cure con i fanghi e ci si ferma all’incirca due settimane. L’età è medio alta e per i giovani non c’è molta attrattiva. A volte abbiamo avuto qualche sportivo reduce da un infortunio. Ad esempio Erwin Stricker, lo sciatore altoatesino: era uno dallo stile molto irruente, era soprannominato Cavallo Pazzo, fu il primo atleta a usare le ginocchiere e il bastone aquilineo per la discesa, e il puntale a uncino sugli sci da slalom per prevenire le inforcate. Il professor Eichner l’aveva mandato da noi per la riabilitazione dopo un intervento. Fece parte della famosa “valanga azzurra”, termine coniato durante uno slalom in Germania in cui cinque italiani si piazzarono nei primi cinque posti.

Dagli anni Sessanta alla fine degli anni Ottanta avevamo una clientela internazionale. Arrivano clienti in carrozzina da tutte le parti del mondo, e alla fine delle cure se ne andavano camminando. Venivano molti americani, molti sudamericani, australiani. E soprattutto donne, vedove che disponevano di una certa dote finanziaria. NOn che succedesse niente di eccezionale, però vedevi gente grande nel modo di vivere, di vestire, nell’eleganza: arrivavano con una caterva di bagagli. C’era perfino una clientela che, prima del suo arrivo, si faceva mandare un baule avvolto in un sacco di iuta per proteggerlo. Vestiti e sfarzo, vivevano e splendevano, vedevi girare lo champagne. Abano è stata la mia vita, ma io non l’avevo pensata tutta qui. Quando ho finito la scuola media avevo intenzione di fare ragioneria, i miei genitori però volevano che andassi a Padova con il pullman e mi spedirono alla scuola alberghiera che, a quei tempi, con Stresa e Losanna, era una delle più rinomate. Dopo un po’ di tirocinio, nel 1961, andai a Baden-Baden, al Brenner’s Park Hotel, uno dei più grandi alberghi della Germania. Avevo diciotto anni. L’impatto fu duro. Eravamo freschi del dopoguerra e ricordo che c’era un facchino con una faccia hitleriana. E lui ci ripeteva: “Voi siete tutti spaghetti fressen”. Ma io pensavo solo a imparare la lingua. Cominciai a frequentare una ragazza tedesca, ad andare al cinema, a bere qualcosa. Poi un’altra e così via, fidanzarsi no però, eravamo giovani! La mia preferita era un’infermiera che abitava vicino al lago di COstanza. Nonostante mi piacesse molto ci fu al massimo qualche abbraccio e bacio, la nomea degli italiani era quella…
Anche se mi tenevo lontano dai compatrioti avevo legato con un ragazzo di San Donà di Piave che faceva il comì (commis). Ogni tanto la sera uscivamo e mangiavamo pollo fritto con due o tre marchi e poi andavamo in giro, si tirava tardi. A volte si soffriva la fame.  La sera ti davano un po’ di cioccolata e una specie di crêpe e quella era la cena. A diciott’anni avremmo mangiato anche la suola delle scarpe! E questo mio amico, un matto, aveva fatto sparire una sella di capriolo intera. La cucina era sotto, la sala da pranzo sopra, non so come, ma nel tragitto sparì. Fu un pasto luculliano!
Decisi poi di andare a Londra per imparare bene l’inglese e fu un’esperienza più breve ma molto intensa. Ero al Claridge’s, a Brooks Street, dove ho visto Costantino di Grecia, che era in esilio e la regina Elisabetta che venne a colazione al ristorante. Era un mondo lontanissimo dal nostro. Era il 1965 e non mi sarei più mosso di lì. Però dovevo fare il militare, mi avevano già chiamato quando ero in Germania e non mi ero presentato. Mi avevano denunciato, ero renitente alla leva. Mio papà, ancora oggi non so come, riuscì a evitarmi il carcere di Peschiera. Così filai dritto a fare quello che dovevo, e poi tornai al lavoro. A ripensarci, posso dire che mi sono divertito. A volte però non è permesso scherzare. Quando venne a fare le cure l’attuale ministro della Guerra israeliano aveva le teste di cuoio perennemente appiccicate. Fecero una pre-ispezione che manco per il Papa e dopo vedevi sempre qualcuno che controllava, vicino alla porta del ristorante, davanti allo spogliatoio. Ma erano discreti e, per fortuna, piano piano si rilassarono. Ce ne sono state di persone importanti, e si cercava sempre di non divulgarne la presenza, altrimenti i giornalisti si sarebbero fiondati immediatamente… Certo, lavorando in un tipo di albergo in cui gli ospiti rimangono per un tempo lungo (anche due settimane) hai modo di conoscerli meglio e hai l’occasione di instaurare un rapporto, pur se molto rispettoso, con loro. Perché è bene ricordare che lui è il cliente e tu sei il dipendente al suo servizio. In molte situazioni a salvarti sono le doti di comunicazione. Noi abbiamo la capacità di parlare con tutti modificando di volta in volta il registro. Essere capaci di parlare con il lavapiatti, con il miliardario e il capo di Stato è una dote fondamentale. Però con alcuni scatta qualcosa. Ancora oggi, che sono in pensione, c’è un cliente tedesco con cui ho stretto amicizia che, quando viene, invita me e mia moglie a mangiare. Ho avuto molte soddisfazioni. Insomma, ho sempre goduto mentre andavo a lavorare. E se rinasco lo rifaccio!
Silvano Rigoni

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